L’agrivoltaico a “V”, sperimentazione italiana che imita la natura
Una configurazione con moduli fotovoltaici bifacciali montati a V, sull’esempio dei germogli di molte piante. Ci sta lavorando una startup italiana e il Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Palermo. Vantaggi e complessità della soluzione.
Nei prossimi anni si prevedono molti gigawatt di impianti agrivoltaici in Italia, ma per accedere agli incentivi che ne compensino il maggior costo, questi impianti devono avere precise caratteristiche.
Come, soprattutto, non occupare più del 30% della superficie totale, avere moduli posti abbastanza in alto da consentire il passaggio delle macchine agricole, oltre che degli animali in caso di pascolo, e permettere di continuare la normale produzione agricola, evitando ombreggiamenti eccessivi delle colture (Agrivoltaico in pratica: ostacoli normativi, vincoli e fattibilità economica).
Queste caratteristiche abbassano la produttività totale di un impianto agrivoltaico rispetto a un normale impianto solare a terra, mentre salgono i costi per la struttura di montaggio dei pannelli (in alcuni casi installati anche a 4 metri di altezza). Aumenta poi la complessità della gestione del movimento degli eventuali tracker per seguire il sole.
Per rispondere a questa sfida si stanno affermando due tipi di impianti agrivoltaici.
Il primo è quello con pannelli bifacciali verticali fissi, con file orientate in senso nord-sud, più economici e in grado di occupare pochissimo spazio. Fanno poca ombra e hanno una produzione giornaliera più allungata di mattino e prima del tramonto (positivo per spuntare prezzi migliori), ma alle nostre latitudini, dove il sole si alza molto, sono meno produttivi che nel centro e nord Europa.
La seconda tipologia è quella di impianti con tracker monoassiale orientati nord-sud, che fanno seguire il sole da est a ovest a due file di pannelli, permettendo una produzione solare maggiore di circa il 25-30% rispetto ai moduli fissi; ovviamente devono essere situati molto in alto e distanziati per non disturbare la coltivazione.
L’ingegnere Christian Chiaruzzi, fondatore della startup Horizonfirm srl, che si occupa di installazione di impianti fotovoltaici, ha ideato e brevettato un’idea che promette di unire i vantaggi del solare con sistemi tracking, con quelli dei pannelli verticali, adattando anche quest’ultima soluzione al soleggiamento tipico delle nostre latitudini.
“Vogliamo costruire un solare per l’agrivoltaico, dotato di pannelli bifacciali montati a V, con il vertice appoggiato su un tracker nord-sud, simile a quelli convenzionali, che hanno però i pannelli disposti montati in linea fra loro”, ci spiega Chiaruzzi. “I due pannelli della V si possono muovere indipendentemente, aprendo e chiudendo la V, più o meno fra un angolo di 35° e uno di 90°”.
L’idea è venuta a Chiaruzzi osservando come i germogli di molte piante presentassero due foglioline disposte a V, in grado di fare fotosintesi sulle due facce di ogni foglia e di aggiustare l’orientamento delle stesse a seconda della posizione del sole.
“Poiché la natura affina al massimo l’efficienza delle sue strutture con una selezione dei più adatti protratta per milioni di anni, ho pensato che imitarla in un impianto solare agrivoltaico avrebbe avuto molti vantaggi”, dice l’ingegnere.
Fra questi vantaggi c’è il fatto che i pannelli a V ostacolano meno il passaggio dei mezzi agricoli e quindi non c’è bisogno di elevare molto l’impianto — bastano infatti un paio di metri. Inoltre, quella configurazione riduce del 50% circa l’ombreggiamento al suolo rispetto ai pannelli orizzontali, consentendo di mettere più file nel campo, a parità di produzione agricola.
Il problema è come gestire al meglio l’inclinazione dei due pannelli indipendenti durante il giorno, per trovare il giusto compromesso fra produzione solare — che richiederebbe sempre la loro massima esposizione — e quella agricola, che invece deve evitare eccessivi ombreggiamenti.
“Inoltre – aggiunge Chiaruzzi – una configurazione a V ha una complessità ulteriore: spesso i pannelli riflettono la luce uno sull’altro, e questo complica il calcolo per trovare l’angolo ideale fra i due.”
La risoluzione di questo complicato calcolo è stata affidata al professore di ingegneria dell’Università di Palermo, Valerio Lo Brano, e all’ingegnere Stefania Guarino.
“Abbiamo costruito un modello matematico, usando il linguaggio di programmazione Python, che ha molti strumenti adatti al calcolo per i ricercatori”, spiega Lo Brano, che ha pubblicato i risultati del suo lavoro di modellamento su Applied Energy, dal titolo Modelling and analysis of V-shaped bifacial PV systems for agrivoltaic applications: A Python-based approach for energy optimization.
“È stato un lavoro molto complicato, per via delle infinite posizioni che possono assumere i due pannelli e delle altrettante infinite posizioni solari, del complesso calcolo di illuminazione e ombreggiatura reciproco delle quattro superfici dei pannelli, delle riflessioni interne nella V e della necessità di minimizzare l’ombreggiatura a terra. Alla fine, siamo riusciti a venirne a capo, creando uno strumento innovativo e molto versatile per il calcolo dei rendimenti di algoritmi di gestione di impianti FV.”
I risultati del modello mostrano che, con un adeguato algoritmo, una coppia a V di pannelli bifacciali da 665 W può produrre alla latitudine di Palermo 2.089,3 kWh/anno, cioè un 15% meno rispetto a un normale tracking monoassiale, ma con un ombreggiamento al suolo minore del 50%.
“Questo risultato si deve anche al fatto che con i pannelli a V si sfrutta meglio la loro bifaccialità, esponendo di più le facce posteriori, e visto che i pannelli bifacciali hanno una produzione sui due lati praticamente equivalente e costano quasi quanto quelli monofacciali, la nostra configurazione sfrutta al meglio le caratteristiche di questi prodotti”, chiarisce l’ingegner Stefania Guarino.
In realtà, il lavoro fatto dai ricercatori dell’Università di Palermo è solo un punto di partenza, come analizza Lo Brano.
“Abbiamo considerato solo la configurazione chiamata Vertigo, in cui la V resta sempre puntata verso l’alto, con le braccia più o meno aperte.
Ma esiste anche un’altra configurazione, la Butterfly, in cui la V segue con la sua apertura il sole durante il giorno, adattando, quando serve, l’apertura dei pannelli di una fila in modo che non ombreggino quella seguente. Questa configurazione è in teoria più produttiva, ma anche più complicata da modellare. Per questo sarà oggetto di una pubblicazione futura a cui stiamo lavorando.”
Intanto, però, in attesa dei lavori teorici, Chiaruzzi sta già predisponendo un esperimento sul campo.
“Con la collaborazione di Trina Solar e Huawei, cominceremo a realizzare in estate un impianto agrivoltaico da 1 MW vicino a Piazza Armerina. Fra le file di tracker convenzionali inseriremo anche due file di tracker con i pannelli a V, per sperimentare i vari algoritmi di gestione di questa nuova configurazione e confrontarli in diretta con gli altri”, ci dice il fondatore della startup.
La produzione solare da quell’impianto dovrebbe partire già in autunno, e vedremo allora se questa innovazione tutta italiana riuscirà a unire i vantaggi del tracking con quelli del solare verticale.
Un dubbio però lo abbiamo: il dover muovere separatamente le due file di pannelli, che rappresentano le braccia della V, non raddoppierà il costo del meccanismo di movimento e le spese di manutenzione e riparazione rispetto al tracking convenzionale che ha un solo asse di rotazione?
“È vero, ma siamo sicuri che il poter usare meno materiale per la costruzione dei nostri impianti, più bassi dei tracker convenzionali, e il poterli sposare meglio con la coltivazione, grazie al minore ombreggiamento, più che compenserà lo svantaggio di avere un doppio sistema di tracking.
Comunque, basterà aspettare qualche mese, e potremo dare i numeri esatti della produzione dell’agrivoltaico a V”, conclude Chiaruzzi.
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Data / 6 Novembre 2025

